Il bilancio complessivo dell'esperienza di Vincenzo Italiano alla Fiorentina

By Matteo Baldini

La tentazione di concedersi bilanci prematuri accompagna spesso le cose di calcio, si traggono conclusioni prima del tempo e si attribuiscono etichette con altrettanta fretta, ma esistono al contempo frangenti che consentono di porre un punto e di tracciare davvero un resoconto finale. La parentesi triennale di Vincenzo Italiano alla guida della Fiorentina si è conclusa, lo ha fatto ufficialmente da due giorni ma sostanzialmente è da settimane che il divorzio appariva nell'aria, con un'atmosfera da fine ciclo sempre più palpabile.

Una lente più equilibrata

In questo caso è quindi possibile immaginare un bilancio complessivo, provando innanzitutto a distanziarsi da due narrazioni diametralmente opposte ma ugualmente distorte: da un lato Italiano come vero e proprio Re Mida, come guru in grado di elevare in assoluto il livello del club viola e di mettere una toppa al livello tecnico della squadra, d'altro canto - in senso opposto - occorre anche allontanarsi dall'idea di Italiano come tecnico integralista, sopravvalutato e addirittura dannoso per il percorso intrapreso dal club.

L'ultima di Italiano in viola | Marco Luzzani/GettyImages

Il tema centrale, lente che permette di valutare il lavoro di Italiano in questi tre anni, è proprio quello del percorso: un tragitto che non può apparire miracoloso o distante dal livello complessivo della squadra ma che, al contempo, risulta virtuoso e tale da ridare un'identità alla Fiorentina, assieme a una rinnovata credibilità anche a livello internazionale. Niente di miracoloso in senso stretto, distanziandosi dunque dall'etichetta di guru, poiché le posizioni ottenute in campionato (una volta settima, due volte ottava) appaiono del tutto nelle corde della Fiorentina e del tutto in linea col monte ingaggi del club: nessun fallimento tecnico e nessuna impresa vera e propria (come quella compiuta dal Bologna di Thiago Motta, per intendersi).

Un tragitto virtuoso (senza miracoli)

Anche a livello europeo potrebbe suonare fantascientifico il raggiungimento delledue finali consecutive di Conference League, in linea teorica, ma diventa necessario ammettere come i viola - nel 2022/23 e nella stagione appena conclusa - siano riusciti a superare ostacoli sulla carta abbordabili, senza vere e proprie imprese sportive che sovvertissero i pronostici (con Basilea e Bruges come tappe più ostiche). Niente che possa svilire il percorso europeo, soprattutto considerando il calore di certi stadi o l'assenza di squadre cuscinetto anche nelle latitudini calcistiche più esotiche, ma un invito - ancora una volta - all'equilibrio nelle valutazioni.

Italiano ad Atene | Jonathan Moscrop/GettyImages

Ipassi in avanti rispetto alle annate precedenti all'arrivo di Italiano, con Montella, Iachini e Prandelli, fanno però parte dei fatti e vanno vissuti come tali, senza timore di smentita: i primi passi dell'era Commisso hanno regalato brividi e affanni, Italiano è stato il primo tecnico a ridare a Firenze la gioia di seguire la squadra, apprezzandone il gioco propositivo e tornando dunque a divertirsi al Franchi dopo anni decisamente sottotono. Al contempo il proposito di tornare sul palcoscenico europeo ha trovato uno sfogo concreto, fin dalla prima stagione, ridando lustro a una società che mancava dagli scenari internazionale dal 2017. Niente che potessimo dare per scontato.

Le tappe di un buon percorso

Tanti gli spunti consegnati da Italiano ai viola anche a livello tattico o di rendimento dei singoli: il passaggio dal 3-5-2 degli anni precedenti al più propositivo 4-3-3 (con virata successiva sul 4-2-3-1), un Vlahovic protagonista di un'incredibile prima parte del 2021/22, la capacità di scoprire grandi interpreti davanti alla difesa (Torreira, Amrabat) o di riscoprire elementi che apparivano ormai fuori dal progetto (come Saponara o Duncan). Tappe che hanno tratteggiato le ultime tre stagioni viola, assieme alla capacità di mandare in gol tanti interpreti diversi, riuscendo a compensare un attacco che - fin dall'addio di Vlahovic - si è rivelato spesso sterile e discontinuo nei suoi tanti interpreti (da Cabral a Jovic passando per Nzola e Belotti).

Con Vlahovic | Gabriele Maltinti/GettyImages

L'aspetto fondamentale, a questo punto e all'immediata vigilia dell'arrivo di Palladino in panchina, riguarda la necessità di non disperdere un patrimonio costruito negli anni e di porre le basi per un nuovo ciclo virtuoso: cambieranno gli interpreti, in panchina come sul campo, ma è evidente che Italiano abbia lasciato una Fiorentina diversa (e migliore) rispetto a quella trovata nell'estate del 2021. Un percorso di costruzione in itinere, insomma, senza miracoli sportivi ma con un naturale e positivo (sostenibile anche a livello finanziario) tragitto a cui dare il giusto valore, soprattutto nel momento degli addii.

L'articolo originale è stato pubblicato da 90min.com/IT come Il bilancio complessivo dell'esperienza di Vincenzo Italiano alla Fiorentina.