Il modello cloud alla prova dell’IA: è l’edge il nuovo trend

Il rapporto dei CIO col cloud non è esattamente una love story, ma è chiaro che il sodalizio è destinato a rafforzarsi: secondo IDC [in inglese]il cloud pubblico arriverà a rappresentare oltre il 70% della spesa per le nuove applicazioni software enterprise nel 2028. Anzi, la domanda di applicazioni aziendali basate sul cloud pubblico produrrà un tasso di crescita annuale composto (CAGR) quinquennale del 16,5%, superando il CAGR dell’11,1% del mercato complessivo. Il traino proviene dall’intelligenza artificiale, soprattutto l’IA generativa, che spinge a fare un maggiore affidamento sulla tecnologia cloud, come testimoniato dalla forte crescita delle applicazioni SaaS e cloud-enabled.

Tuttavia, è possibile prefigurare un futuro in cui la stella del cloud sarà in parte oscurata dall’affermazione dell’edge computing, ovvero l’elaborazione e l’analisi dei dati alla periferia della rete, in prossimità dell’utente aziendale.

“Non tutto sarà necessariamente basato sul cloud o offerto in modalità as-a-service come alcuni fornitori tendono a sostenere”, dichiara Gianni Sannino, Head of Operations IT & Services di Sirti Digital Solutions. Già oggi, con l’avvento dell’Internet of Things (IoT), molte applicazioni che precedentemente erano ospitate sul cloud si stanno spostando verso l’edge, dove i dati vengono elaborati e gestiti localmente dai server vicino alla fonte del dato stesso. Solo le informazioni essenziali vengono poi trasmesse agli strati superiori dell’architettura di rete. Questo spostamento verso l’edge cloud permette di ridurre la latenza e aumentare la velocità di elaborazione dei dati, favorendo l’efficienza e la reattività delle applicazioni”.

Secondo Sannino, questo sviluppo consentirà una maggiore flessibilità anche nell’implementazione di applicazioni IA.

Il cloud come pilastro della trasformazione digitale. Ma l’on-prem è ancora strategico

Le aziende italiane oggi basano la loro trasformazione digitale sul cloud: le nostre imprese hanno speso, complessivamente, 5,5 miliardi di euro nel 2023 in servizi cloud (+19% rispetto al 2022), secondo l’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano. È il caso anche di Intred, operatore di telecomunicazioni di riferimento in Lombardia, la cui trasformazione digitale ha coinciso con un uso massiccio del modello as-a-service e dell’hybrid cloud. La scelta del modello ibrido, ovvero diviso tra server on-premises, che gestiscono i dati e i servizi critici, e data center proprietari, ma esterni alla sede centrale, dove vengono gestiti altri servizi aziendali e quelli per i clienti, si deve a motivi di sicurezza, come spiega il CTO di Intred, Alessandro Ballestriero.

“Molto IT oggi viene fruito in modalità as-a-service, ma non tutto, secondo me, può essere portato all’esterno di un’azienda per motivi di sicurezza”, affermail manager. “In particolare, quando ci si affida a un cloud provider, per me resta fondamentale sapere dove sono i dati della mia azienda e dei miei clienti: anche se esistono le cloud region europee GDPR-compliant, non ho la garanzia che i dati siano cifrati by design e inaccessibili fuori dall’UE. Per questo ritengo che i dati e le applicazioni critici debbano rimanere on-premises, nel perimetro sicuro dell’azienda”.

Il resto, però, aggiunge Ballestriero, può essere esportato con benefici di costo e scalabilità: oggi Intred ha virtualizzatoun numero considerevole di macchine fisiche e questo ha permesso di risparmiare sui consumi di energia per il funzionamento e il raffreddamento dei server. L’azienda ha anche la flessibilità di estendere l’infrastruttura senza acquistare hardware nuovo e in tempi veloci: “Elementi essenziali che sostengono la nostra strategia di espansione su scala nazionale”, sottolinea il CTO.

Il modello as-a-service: tanti vantaggi, qualche rischio

Mathieu Perez, Tech Director di Free2move (fornitore di mobilità globale che offre servizi di car-sharing e noleggio a breve, medio o lungo termine a privati e aziende, parte del Gruppo Stellantis), riferisce un’esperienza simile: “Facciamo un ampio uso del modello as-a-service, che ci permette di rimanere agili e di concentrarci sul nostro core business. In generale, l’as-a-service offre una maggiore flessibilità e scalabilità, e una migliore gestione dei costi operativi. Inoltre, l’IT può beneficiare delle ultime innovazioni senza dover investire pesantemente nell’infrastruttura hardware e incoraggiando una rapida innovazione”.

Free2move usa numerosi prodotti come servizio: uno per la collaborazione tra i team internazionali, un altro per la collaborazione tra gli sviluppatori, il CRM per la gestione delle relazioni con i clienti, i servizi cloud infrastrutturali di una big tech, e così via. Tuttavia, alcuni svantaggi esistono: “La dipendenza dai fornitori e le sfide della gestione della sicurezza dei dati e della conformità in un ambiente tecnico complesso e diversificato”, secondo Perez.

Ovviamente, ogni impresa e dipartimento IT fa storia a sé, ma molte portano avanti la migrazione verso il cloud senza incertezze, soprattutto se è presente un’importante attività di software development. Il cloud, infatti, permette di avere molteplici macchine di sviluppo e rilascio in parallelo e si può lavorare su più prodotti in contemporanea, come ci ha indicato il direttore R&D di un’azienda italiana che sviluppa prodotti software.

“Il cloud costa: se si guarda al singolo servizio e al singolo server, lavorare in cloud è più costoso. Ma il vantaggio è quello di non tenere l’hardware in casa, acquistare scalabilità e flessibilità, ottenere aggiornamenti continui e molta più potenza di calcolo”, afferma il manager. “Perciò penso che porteremo gradualmente tutto in cloud e non vediamo problemi né per la sicurezza né per la privacy del dato. Il fatto che la migrazione stia avvenendo in modo graduale non è perché abbiamo dubbi, ma perché si tratta di uno sforzo lungo e complesso: non si può prendere un server e metterlo in cloud con un semplice lift and shift, occorre un progetto studiato e articolato”.

Il futuro dell’IT e l’ascesa dell’edge computing

Tra gli entusiasti e i perplessi del cloud si sta inserendo una terza scuola di pensiero, che mette sul piatto della bilancia un elemento che, secondo alcuni CIO, peserà sempre di più: l’edge computing.

“Un passo avanti in questa direzione potrebbe essere rappresentato da un futuro in cui tutte le applicazioni che attualmente risiedono nel cloud saranno disponibili direttamente su microprocessori locali o su dispositivi mobili”, osserva Sannino. “Questo sarebbe un cambiamento epocale, poiché consentirebbe agli utenti di eseguire applicazioni complesse e potenti senza dipendere da una connessione Internet costante e senza dover accedere a server remoti”.

In pratica, Il futuro dell’IT potrebbe non dipendere interamente dalla computazione remota su server cloud, ma ci saranno anche opportunità per utilizzare risorse di calcolo locali, come i chip avanzati.

“La velocità dei nuovi microprocessori e dei futuri processori quantici industriali ci consentirà di avere una potenza di calcolo straordinaria all’interno del data lake, in futuro federati e certificati, piuttosto che dover affidare tutto alla gestione nel cloud. Questo sviluppo permetterà di creare applicazioni di intelligenza artificiale e di implementarle direttamente su dispositivi locali”, aggiunge il manager.

L’intelligenza artificiale rivoluziona lo scenario

Secondo IDC, il mercato delle applicazioni enterprise varrà 602,2 miliardi di dollari entro il 2028, con un rapporto tra software on-premises, da un lato, e software in public cloud e altre soluzioni software, dall’altro, che passerà dal 44,7% contro 55,3% del 2023 al 29,7% contro 70,3% nel 2028. La società di ricerche scommette, dunque, su un’ascesa inarrestabile del cloud rispetto all’on-prem e, del resto, anche i CIO più entusiasti dell’edge non vedono un futuro di sostituzione del cloud, ma di affiancamento tra le due tecnologie. “L’edge computing è importante perché lavora in bassa latenza con dati locali e in tempo reale, compresi quelli che servono per condurre le analisi e fare machine learning. Perciò, vedo l’edge complementare al cloud, che si occupa della computazione meno suscettibile ai valori della latenza e dello storage di lungo periodo”, tiene a precisare Ballestriero. “Sicuramente l’edge assumerà un ruolo sempre più rilevante nella parte IoT, ridimensionando il cloud. Ma non lo sostituirà, perché i due paradigmi hanno due posizionamenti diversi”.

Secondo il CTO di Intred,questa evoluzione si vedrà anche sugli impieghi dell’intelligenza artificiale, che è gestita in cloud. “Oggi le aziende sono concentrate sui Large Language Model (LLM), ma questi modelli sono enormi e le imprese, invece, hanno bisogno di applicazioni mirate. In futuro, perciò, aumenterà il ricorso agli Small Language Model (SLM) e questi andranno in edge, visto che usano una mole inferiore di dati e sono anche molto più efficienti nei consumi energetici”, afferma Ballestriero.

Il futuro dei data center edge e le nuove sfide per il CIO

All’orizzonte si profila una forte crescita dei data center edge, che, secondo Precedence Research [in inglese], saranno un mercato da 60 miliardi di dollari nel 2028, contro gli 11 miliardi del 2023 (un CAGR di quasi il 18,5%). I data center edge rispondono precisamente alla richiesta delle imprese di elaborare dati in tempo reale alla “periferia” della rete, come per l’automazione industriale, l’IoT, i veicoli connessi, l’intelligenza artificiale e le applicazioni nella sanità.

“Ritengo fondamentale essere preparati al cambiamento e considerare attentamente le diverse direzioni che il mercato prenderà”, conclude Sannino. “La possibilità di avere una potenza di calcolo significativa a livello locale aprirà la strada a nuove iniziative imprenditoriali e allo sviluppo di nuove tecnologie, con la creazione di nuove opportunità lavorative per esperti di informatica, sviluppatori e professionisti specializzati nell’elaborazione di grandi quantità di dati e nell’intelligenza artificiale”.

Non mancheranno le difficoltà: oltre alla rinnovata caccia ai talenti IT, Precedence Research ricorda che garantire la sicurezza di numerosi data center distribuiti presenta sfide aggiuntive rispetto a un modello cloud centralizzato. Inoltre, l’istituzione di data center edge richiede un investimento significativo in infrastrutture fisiche e la manutenzione può essere complessa.

D’altro lato, l’emergere delle tecnologie dei big data, dell’IA e dell’IoT ha portato alla creazione di enormi quantità di dati che devono essere elaborati e analizzati rapidamente – basti pensare ai sistemi di machine learning – e l’edge è una tecnologia efficiente per farlo. Compito dei CIO sarà valutare i possibili casi d’uso e scegliere la combinazione ideale cloud/edge per il business della loro azienda.

© Foundry